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Sono anni che Maurizio Bonfanti - artista classico al tempo del postumanesimo contemporaneo - fa del corpo e della carne il luogo della sua personale meditazione oltre che della sua resistente affezione per la figura. Qui la sua arte si cimenta con la visionaria parabola biblica di Ezechiele, 37 nella quale un'arida distesa di ossa è improvvisamente riavvolta della grazia della carne e riportata in vita da un metabolismo a ritroso messo in scena come l'unico modo per poter parlare del desiderio di perennità che anima l'esistenza umana. Quei grandi nudi intrappolati nell'angusto limite della superficie sono l'eco del fremito con cui ogni essere umano sente il proprio corpo chiedere spazio e aspettare tempo. È il corpo a nutrire per noi l'irragionevole pretesa di durare, non l'anima.